Quando il Jazz sa sorridere

(di Rocco Pezzano– Giornalista e scrittore)

il concerto del trio

Di tutti i tipi di artista esistenti (quello che se la tira, il guru meditabondo, l’abitatore di torri eburnee eccetera), Eri Yamamoto– che due sere fa ha suonato nel Jazz Club di via Torraca a Potenza insieme ad una gloria come Adam Nussbaum e a un valente musicista come Giuseppe Bassi– è quel tipo che non nasconde le emozioni. Che, anzi, le usa per amplificare il proprio, notevole, talento.

E cosi la platea da tutto esaurito del locale ha potuto facilmente (e piacevolmente) empatizzare con i suoi larghi sorrisi e godere senza riserve dei brani che lei e i due compagni di palco hanno suonato. Chiamiamole meglio “canzoni”, come le chiamano i jazzisiti, e qui sta una delle magie di questo genere musicale: raccontare senza parole.

Per riuscirci, ci vogliono musicisti come Yamamoto, pianista nata in Giappone nel 1970 ma di stanza da 26 anni a New York (e dove, altrimenti?), capace di attirare le attenzioni del jazz che conta in tutto il mondo.

Eri Yamamoto
Adam Nussbaum

Per il batterista newyorkese Nussbaum, 66 anni, bastano i nomi con cui ha lavorato fin da giovane: da John Scofield ai due fratelli Brecker (Randy e Michael), passando per Gil Evans, Stan Getz e tanti altri. Questi sono i grandi, senza contare i miti (Toots Thielemans) e le leggende (Jaco Pastorius).

Il pugliese Bassi, classe 1971, è un contrabbassista di grande eclettismo, titolare di gruppi a suo nome, autore di progetti di ampio respiro come Atomic Bass, in giro per il mondo a suonare con il meglio del jazz.

Giuseppe Bassi

Con poche parole d’italiano- scandite con ammirevole impegno- Yamamoto introduce la serata. Il primo brano à “After all blues”: “La vita non è facile, ma con il sorriso va tutto bene”, spiega. Nei suoi contrappunti- sottolineati da un drumming puntuto – Yamamoto sembra respirare l’ariosità del brano. Subito dopo “We three” di Nussbaum. Da un batterista ti aspetteresti un passo tellurico, e invece si comincia rarefatti come non mai. Poi il ritmo sale, impreziosito da una linea di basso melodica, cantabile, ripetuta dai tasti bianchi e neri.

“Just walking” è nata dalla paura di Yamamoto nel camminare per le strade della sua metropoli, durante i primi tempi del Covid-19, rischiando di essere aggredita per i tratti somatici orientali mentre è in atto un’indistinta caccia ai cinesi, accusati di aver provocato la pandemia. Percussioni “jungle”, sprazzi di note, Yamamoto che quasi danza al piano facendo oscillare gli iridescenti orecchini. Poi l’atmosfera si fa più calda.

“I miss missing you (mi manca il fatto che mi manchi”)” nasce da una storiella domestica raccontata dal vero intrattenitore della serata, Nussbaum, e dalla difficile convivenza forzata causa coronavirus con la moglie, abituata a vedere il marito scomparire per mesi causa concerti. Piccolo tranello jazz: Nussbaum fa finta di nascondere fra le note solo “Tea for two” e invece, con un gioco di prestigio, cela un altro standard dei primi del ‘900 “Body and Soul”.


“Kyoto”– che alle prime note ha un sapore orientale, tipo Rychi Sakamoto, e poi si evolve in un tema calibrato ed elegante – è dedicata alla città in cui Yamamoto ha passato la giovinezza. Sua anche “Keys”, chiavi capaci di “aprire le porte al prossimo passo nella vita”. I tre giocano anche con i suoni naturali degli strumenti.

Finalmente un brano di Bassi, “November train”, nato in un treno che nel novembre del 2019 portava lui ( e solo lui) dalle parti di Fukushima, città colpita da tsunami e conseguente incidente nucleare. Tema netto – in nuce quasi una colonna sonora da James Bond o da action movie – e attitudine funk-rock. Potente, torrido.
L’applauso prolungato convince il trio a tornare dietro agli strumenti per un bis:“Wabi”, che in giapponese è la bellezza interiore. Semplicemente bellissimo.

La serata è stata un successo, ascrivibile a chi ha avuto l’idea di aprire un (vero) jazz club a Potenza. Le battute si sono sprecate, le assonanze fra il grazie nipponico (“Arigat”) e i rigatoni che Bassi invita a preparare dopo il dopo concerto, l’istrionismo di Nussbaum (che rischia a tratti di mettere in ombra la grazia assoluta e discreta di Yamamoto), qualche immancabile intoppo tecnico prontamente risolto, il comune sentire fra Eri e la platea.
E il ritrovarsi – dopo due anni di chiusure e forzati ascolti solipsistici – a chiacchierare prima e dopo un concerto, a provare la gioia che dà la buona musica. A sorridere serenamente di tutto questo, poco o tanto che sia.

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